Le fasi della storia di Napoli
Le origini |
Le antichissime origini di
Napoli affondano nella leggenda, o meglio, in una serie di leggende. Al centro di tutte,
c'è la sirena Partenope, che, affranta per l'astuzia di Ulisse sfuggito al potere del
canto delle sirene, si sarebbe suicidata, e
il suo corpo sarebbe andato alla deriva fino ad incagliarsi sugli scogli dell'isoletta di
Megaride, dove oggi sorge il Castel dell'Ovo. Secondo una versione meno leggendaria,
Partenope sarebbe stata invece una bellissima fanciulla, figlia del condottiero greco
Eumelo Falevo partito alla volta della costa campana, per fondarvi una colonia; ma una
tempesta colpì la nave, provocando la morte di Partenope, in tributo alla quale fu dato
il nome alla nascente città. Dalle informazioni storiche, in effetti, si sa che coloni greci si insediarono dapprima nell'isola di Ischia (IX secolo a.C.), per trasferirsi poi a Cuma e, solo nel VI secolo a.C., fondare la città di Partenope sull'isola di Megaride. Si trattava più che altro di uno scalo commerciale per mantenere i contatti con la madre patria, che, in un secondo momento, si espanse sul vicino Monte Echia (Pizzofalcone), assumendo la struttura di un piccolo centro urbano. |
Napoli greco-romana |
Nel 470 a.C., i greci Cumani
decisero di fondare una vera e propria città, scegliendo una zona più ad oriente della
vecchia Partenope, zona che corrisponde all'attuale centro storico; il nome prescelto fu
quello di Neapolis ("città nuova"), per distinguerla dal precedente nucleo
urbano (Palepolis, "città vecchia"). Probabilmente, in questa fase, la città
era una repubblica aristocratica retta da due arconti e da un consiglio di nobili. Neapolis non era una città guerriera, ma dovette presto difendersi da due scomodi vicini: i Sanniti, che nel 423 a.C. conquistarono Cuma scacciandone gli abitanti, e i Romani, determinati ad espandere verso sud il proprio dominio. I primi rapporti tra Roma e Neapolis furono improntati all'amicizia e al tentativo di stipulare accordi, ma, sotto le pressioni delle altre colonie, Neapolis fu poi spinta a rifiutare collaborazioni coi romani; questo portò nel 326 a.C. ad un conflitto armato che, nonostante l'alleanza dei partenopei con sanniti e nolani, si concluse con la vittoria del console romano. La pace non fu tuttavia disonorevole: fu creata una confederazione con Roma, e la città poté mantenere le proprie prerogative e istituzioni, rivelandosi nel seguito una fedele alleata del sempre più potente vicino. Del resto, Neapolis era per Roma un importante veicolo della cultura e della civiltà greca: la città e i suoi dintorni divennero meta privilegiata per le residenze estive dei patrizi romani, che costruirono tra Puteoli e Sorrento lussuose ville (Scipione l'Africano, Silla, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Bruto e Lucullo, ad esempio, scelsero queste terre per riposo e diletto; Cicerone, Orazio, Plinio il Vecchio, Virgilio, trovarono qui ispirazione per il proprio genio artistico). Napoli era insomma un centro di raffinata cultura, un lembo di Grecia nella penisola italica, che i romani seppero sempre rispettare e apprezzare, evitando di inquinarlo e opprimerlo. |
Il ducato di Napoli |
La divisione dell'Impero
romano, le invasioni barbariche nella penisola, e poi la caduta dell'Impero Romano
d'Occidente (476 d.C.) determinarono la storia di Napoli nell'Alto Medioevo. Nel 536
Giustiniano, imperatore d'Oriente, inviò Belisario a conquistare la città, che pur si
difese valorosamente; poi, nel 542, Napoli fu invasa dai Goti, che sbaragliarono le forze
bizantine; queste, tuttavia, nel 553 si ripresero la città sotto il comando di Narsete,
che con una grande battaglia ai piedi del Vesuvio scacciò definitivamente i Goti dalla
Campania. In seguito, pur sotto la sgradita dominazione bizantina, la città dovette respingere forti e rozzi nemici come i Longobardi e i Vandali. Dopo un tentativo di indipendenza nel 615, che portò a un governo autonomo di breve vita, l'imperatore d'oriente nel 661 accolse le istanze dei napoletani, nominando un duca napoletano a capo della città: Basilio. In questo modo, pur dipendendo formalmente da Bisanzio, la città dispose di un governo proprio, che fu dapprima nominato dai bizantini, poi divenne elettivo, e infine ereditario. Ciò durò dal 661 al 1137, periodo di aspre lotte in cui Napoli fu tutto sommato una delle poche isole di civiltà rimaste nella penisola ormai soggiogata dalle popolazioni barbare. |
Il dominio normanno |
Nei secoli di governo ducale, Napoli si trovò spesso contrapposta ai Longobardi e ai Saraceni, e per questo ricorse a volte al supporto di altre popolazioni, chiamate in forma mercenaria ad aiutare le difese napoletane. Fu il caso dei Normanni, a cui fu concesso il feudo di Aversa in cambio della resistenza alle mire espansionistiche di Benevento. Ma questi, sotto la dinastia degli Altavilla, ben presto non seppero più accontentarsi del loro ruolo, ed intrapresero una serie di brillanti campagne che li portarono alla conquista della Sicilia, da cui scacciarono gli arabi, e poi ad estendere le loro mire sul sud Italia. Ruggiero II, fattosi proclamare re, occupò Salerno, Amalfi, Capri, Ravello e Amalfi e nel 1137, con un accordo col duca Sergio, impose di fatto il suo potere su Napoli; alla morte del duca, Ruggiero riconobbe ampia autonomia alla città, e nominò un supervisore ritornandosene a Palermo. Nel 1154, anche Ruggiero morì, e gli succedette Guglielmo I, detto il Malo; a dispetto del nome, questi fu un sovrano giusto e saggio, e da allora la storia di Napoli si legò strettamente a quella di Palermo; fece costruire Castel Capuano, strinse importanti alleanze con le Repubbliche Marinare, si guadagnò la stima degli aristocratici napoletani. Dopo di lui, Guglielmo II, detto il Buono, governò altrettanto saggiamente, e alla sua morte una assemblea di nobili, prelati e rappresentanti del popolo, per evitare che il regno cadesse in mano ai tedeschi che premevano alle frontiere, designò Tancredi d'Altavilla come suo successore. Furono gli ultimi sprazzi di vita del regno normanno, perché, dopo aver respinto l'assedio svevo nel 1191, alla morte di Tancredi nel 1194 il sovrano tedesco Enrico VI si impossessò del mezzogiorno d'Italia. |
Napoli sveva |
Dopo 3 anni di regno di Enrico VI, non molto felici per la città, vi fu l'ascesa al trono di Federico II, da molti considerato il più grande sovrano che sia mai stato su un trono europeo. Con Napoli non ebbe da principio un buon rapporto, tanto che nel primo periodo i partenopei appoggiarono diversi tentativi di sovversione; poi i rapporti migliorarono e, quando tra il 1220 e il 1222 il monarca visitò la città, ne rimase suggestionato, e promosse lavori importanti di restauro e abbellimento. Uomo di gran cultura, creò per il suo regno un forte potere centrale, riorganizzò la pubblica amministrazione, la giustizia, l'esercito, il commercio; si rese protagonista di alcune imprese militari di successo in Germania e a Gerusalemme, ma, soprattutto, si deve ricordare che amò circondarsi di poeti, filosofi e letterati, e regalò proprio alla città di Napoli la prima Università di stato della storia: il celebre "Studium", che acquisì presto un gran prestigio internazionale, eguagliato solo dalle università di Parigi e Bologna. Alla morte di Federico, però, il suo successore Corrado incontrò non pochi problemi ad essere accettato in città, e ci vollero diversi mesi di assedio per vincere le resistenze, appoggiate anche dal pontefice Innocenzo IV. Nel 1254 morirono sia Corrado che il papa, e stavolta il nuovo pontefice Alessandro IV non dette manforte a Napoli, che dovette accogliere il nuovo sovrano Corradino, accompagnato e supportato, per la sua giovane età, dallo zio Manfredi. |
Napoli angioina |
Nel 1266, chiamato in Italia dal papa, Carlo
d'Angiò, fratello del re di Francia, sconfisse Manfredi a Benevento e assunse la corona
del regno del Sud. Per decisione di Carlo, la città divenne capitale del regno
(nonostante le forti proteste siciliane), e la
società fu organizzata in Sedili, organismi democratici che fungevano da
mediatori tra il monarca e gli interessi del popolo. Nonostante una forte pressione
fiscale, con la nuova dominazione la città cambiò volto: sorsero splendide chiese,
fabbriche monumentali, ci fu uno sviluppo di artigianato e commercio, e la popolazione
aumentò a dismisura, cosicché Napoli divenne la prima metropoli d'Italia, probabilmente
seconda solo a Parigi in Europa. Tuttavia, le cose non furono affatto facili per il
sovrano: anzitutto dovette fronteggiare nel 1267 un nuovo assalto di Corradino, che,
sconfitto a Tagliacozzo, fu fatto decapitare, poco più che adolescente, in piazza
Mercato; poi vi furono i Vespri Siciliani nel 1282, con la perdita della Sicilia, e un
tentativo di sommossa a Napoli nel 1284, ad opera dei ghibellini, represso con l'aiuto
dell'aristocrazia locale. Morto Carlo, nel 1285, gli succedette Carlo
II, che portò migliorie al patrimonio monumentale della città (ampliamento delle
mura, ristrutturazione del Castel
dell'Ovo, restyling del Maschio Angioino, costruito dal padre), e si rivelò anche
buon legislatore. Nel 1309, un
altro grande sovrano ascese al trono napoletano: Roberto d'Angiò, detto il Saggio, amante
delle lettere e dell'arte, che creò un clima intellettuale notevole (Boccaccio, Giotto,
Petrarca, Tino da Camaino risiedettero e lavorarono qui in quel periodo), promosse gli
studi legislativi, promosse la costruzione della chiesa di S.Chiara (nella quale vi è il
suo monumento funebre), e una grande fioritura dello stile gotico (chiese di S.Lorenzo,
S.Paolo Maggiore, dell'Incoronata, basilica di S.Domenico Maggiore). Dopo la morte di
Roberto (1343), la nipote Giovanna creò non pochi problemi alla città con i suoi
comportamenti frivoli e dissennati; in questo periodo, epidemie di peste, sommosse e
incursioni ungheresi tormentarono la città; il trono di Giovanna cadde dopo quarant'anni
di regno per mano del nipote Carlo Durazzo d'Angiò, che approfittò della fiducia in lui
riposta per assassinarla e prendere il suo posto, morendo però pochi anni dopo. La stirpe dei Durazzo, ramo secondario dei d'Angiò, portò sul trono di Napoli, dopo Carlo, il giovane Ladislao; grosse ostilità vennero a questi da Luigi II d'Angiò, che aveva pretese al trono, e che portarono alla divisione della città in due fazioni. Tuttavia, Ladislao finì per prevalere, e fu anche un buon sovrano; nel 1404, col desiderio di unificare la penisola, conquistò Roma, ma dovette abbandonarla nel 1409. Morì appena quarantenne, lasciando il trono alla sorella Giovanna, anch'essa dedita, come la sua omonima antenata, più alle tresche amorose e agli scandali che alle attività di governo. |
Napoli aragonese |
Qualche anno prima di morire, Giovanna Durazzo, sentendosi in pericolo, chiese aiuto ad Alfonso d'Aragona, re di Sicilia, e l'adottò, legittimandone di fatto il diritto alla successione. In seguito tornò sui suoi passi, designando Renato d'Angiò come erede, ma ciò provocò la rabbia del sovrano aragonese, che nel 1442 assediò ed espugnò Napoli. Fu l'inizio della dominazione aragonese, che portò sviluppo economico e civile alla città, e presso la cui corte fu possibile la penetrazione degli ideali e dell'arte rinascimentale: artisti come Giovanni Pontano, Jacopo Sannazaro, Pietro Summonte, Pietro Beccadelli e Lorenzo Valli poterono manifestare il loro talento proprio grazie al clima virtuoso promosso da Alfonso, che si meritò l'appellativo di Magnanimo. E grandiose testimonianze di quel periodo ci rimangono nel patrimonio artistico della città: si pensi all'arco marmoreo del Castel Nuovo (voluto proprio dal sovrano per celebrare la conquista della città), alla chiesa di S.Anna dei Lombardi, a quella di S.Angelo al Nilo, opere cui contribuirono grandi artisti quali il Vasari e Donatello. Alla morte di Alfonso il Magnanimo, nel 1458, la corona di Napoli passò al figlio Ferrante, mentre la Sicilia fu assegnata all'altro figlio Giovanni. Sotto il regno di Ferrante, la città dovette difendersi da nuove pretese angioine (contenute con le vittorie a Sarno e nella battaglia navale di Ischia), combattere una guerra contro Firenze (nel 1458), e il sovrano dovette anche fronteggiare numerosi tentativi di congiura ordite dai Baroni del regno; Ferrante fu un buon re e un fine legislatore, e durante il suo regno fu edificata la maestosa Porta Capuana. Nel 1493 questi morì, e sul trono salì Alfonso II, che tuttavia, sotto la pressione di un possibile ritorno francese, appoggiato da molti contestatori interni, presto abdicò in favore del figlio Ferrantino. Ferrantino non potè però opporsi a lungo all'esercito francese di Carlo VIII, e dovette rifugiarsi a Ischia mentre gli angioini entravano in città; solo quando Carlo ritornò a Parigi, lasciando a Napoli alcune guarnigioni, l'aragonese riuscì a rientrare in città, e a riguadagnarsi i favori del popolo napoletano. Morì però due anni dopo, tra i rimpianti dei napoletani, e la corona passò allo zio Federico d'Altamura. |
Il vicereame spagnolo |
Si attribuisce questa definizione ai due secoli di dominazione colonialista compresi tra il 1503 e il 1707: la corona di Madrid esercitò il suo potere su Napoli e sul regno con avidità e incapacità; uno stuolo di viceré si successe alla reggenza della città, e si rese protagonista di angherie, furti di opere d'arte, imposizione di imposte strozzanti. In questo periodo, per difendere il popolo dalle prepotenze iberiche, nacque e si affermò il fenomeno della "camorra", che in un primo tempo costituì quindi una sorta di società segreta con fini di mutua assistenza. Numerosi eventi bellici contrassegnarono quest'epoca: l'occupazione dei possedimenti pugliesi di Venezia, la spedizione africana a Tunisi e quella celebre a Tripoli (in cui vi fu la vittoria di Lepanto), la spedizione punitiva contro il pontefice Paolo IV, e, sul piano difensivo, l'invasione francese respinta nel 1526, e le numerose incursioni dei pirati arabi e turchi. Anche sul fronte interno, ci furono numerosi tentativi di sollevazione popolare, dovuti all'insostenibile pressione fiscale e ai tentativi di instaurazione dell'Inquisizione; la più celebre e ardita fu quella del 1647, che vide come protagonista Masaniello a capo di una folla inferocita, che tenne per oltre un anno in scacco i "padroni" spagnoli, fino alla presa del Castello del Carmine, quartier generale degli insorti. Dal punto di vista artistico, tuttavia, la città seppe anche in questo periodo esprimere grandissime individualità in tutti i campi (Torquato Tasso, Giovambattista Basile, Giambattista Marino in letteratura; Tommaso Campanella, Giordano Bruno e Giambattista Vico in filosofia; Massimo Stanzione, Battistello Caracciolo, Bernardo Cavallino, Salvator Rosa, Luca Giordano, Mattia Preti, Andrea da Salerno nella pittura; Pietro Bernini, Michelangelo Naccherino, Giovanni da Nola e Girolamo Santacroce nella scultura; Domenico Fontana e Cosimo Fanzago in architettura); tra le opere più significative che ci rimangono del tempo, vanno citati il Palazzo Reale, la Certosa di San Martino e la chiesa del Gesù Nuovo. |
Il Settecento borbonico |
Gli anni successivi al 1707 costituirono un periodo
di transizione, caratterizzato da un vicereame austriaco che non lasciò grandi segni
sulla storia cittadina. Nel 1734, sul trono di Napoli salì Carlo di Borbone, erede
designato della dinastia spagnola, che -a dispetto della sua discendenza- da subito
improntò il suo regno ad una maggiore autonomia rispetto ai due secoli precedenti. Il sovrano, al trono come Carlo VII, attuò una serie di riforme nei settori dell'amministrazione, del fisco, del commercio e in quello militare, che costituirono un nuovo impulso per lo sviluppo nei decenni successivi di attività che ancora oggi caratterizzano il tessuto economico e produttivo di Napoli: dalle attività artigianali (l'arte presepiale, ma anche le lavorazioni del corallo, delle ceramiche e porcellane, dei metalli preziosi, del legno) a quelle industriali (i cantieri navali di Castellammare, la manifattura di S. Leucio), a quelle commerciali (il porto di Napoli). Forte fu inoltre il suo impegno per il contenimento del potere temporale del clero e per l'abbattimento dei privilegi feudali ancora esistenti all'epoca. Il regno di Carlo I ha lasciato importanti segni anche nell'architettura e urbanistica cittadina (nel 1737 fu inaugurato il Teatro San Carlo; nel 1738 si avviarono i lavori per l'edificazione della Reggia di Capodimonte e della Reggia di Portici; nel 1751 fu affidata a Ferdinando Fuga l'edificazione del Real Albergo dei Poveri; l'anno successivo Luigi Vanvitelli iniziò la realizzazione della Reggia di Caserta, sul modello di Versailles; nel 1757 lo stesso Vanvitelli progettò il Foro Carolino, l'attuale Piazza Dante) e nella cultura dell'epoca (il San Carlo divenne il tempio della musica italiana ed europea, quarant'anni prima della nascita della Scala di Milano, e in questi anni raggiunse il massimo splendore la scuola musicale napoletana; gli scavi di Ercolano e Pompei divennero parchi archeologici tutelati, e per il loro studio si investirono grandi risorse; si fondò la fabbrica delle porcellane di Capodimonte; giunse a Napoli la collezione Farnese, oggi vanto del Museo Archeologico). La corona di Carlo vacillò nel 1740, quando -a seguito della guerra tra Spagna e Austria- il Regno di Napoli sembrò dover passare sotto un'altra dominazione; il sovrano si oppose però a tale decisione, e difese con l'esercito l'indipendenza del Mezzogiorno d'Italia dalla corona austriaca. Nel
1759, Carlo fu richiamato a Madrid per salire sul trono di Spagna, e a Napoli lasciò
il figlio Ferdinando, che, pur proseguendo la linea del padre, fu una figura di minore
spessore dal punto di vista politico e storico. Agli anni del regno di Ferdinando IV
risalgono la nascita dell'innovativa manifattura di S. Leucio (1779), la
trasformazione della spiaggia di Chiaia nella Villa Reale, poi divenuta Villa Comunale (1778), l'istituzione della scuola
militare della Nunziatella (1767), la costruzione del Real Cantiere Navale di
Castellammare (1783) e dei colossali Granili (1799). Sono anche gli anni in cui la città
si va trasformando sulle tracce del Barocco, e si espande rapidamente, con densità
abitative sempre più insostenibili. |
Il decennio francese |
Giuseppe Bonaparte regnò a Napoli per appena tre
anni (1805-1808), nel corso dei quali avviò in città alcuni rilevanti lavori pubblici
(tra cui la strada che attraversa Posillipo) e
realizzò una riforma amministrativa, ampliando i confini di Napoli -suddivisa in dodici
quartieri-, istituendo la figura del sindaco, supportato da un organo elettivo, e
introducendo il catasto urbano. In questo periodo furono anche istituiti l'Orto Botanico, a via Foria, e il Conservatorio di
Musica, che trovò sede nel convento di S.Pietro a Majella, e che tanto avrebbe
contribuito in seguito alla fioritura della musica napoletana. Nel 1808, Napoleone affidò il
regno a Gioacchino Murat, suo genero e fedele generale del suo esercito; il carattere del
nuovo sovrano lo fece benvolere dal popolo napoletano, e le sue abilità militari gli
permisero di costituire un esercito che ottenne importanti successi, sia in casa
(conquistando l'isola di Capri, già in mano agli inglesi, e sconfiggendo una flotta
anglo-spagnola nel golfo di Napoli) che nella campagna di Russia del 1812. Per la città,
Murat compì altri lavori pubblici, come l'apertura del Corso Napoleone, che collegava via
Toledo con Capodimonte e preludeva a uno sviluppo della città verso nord. |
Il ritorno borbonico |
Con il Congresso
di Vienna, fu decretato il ritorno a Napoli di Ferdinando di Borbone, che stavolta salì
al trono con il nome di Ferdinando I, dopo aver unificato il Regno di Napoli e quello di
Sicilia nel "Regno delle Due Sicilie". Tra i primi atti del nuovo governo,
Ferdinando introdusse nuovi innovativi codici giuridici,
e stipulò il concordato con la Chiesa, restituendo i beni confiscati dai francesi, ma
senza ripristinare tutti i privilegi preesistenti al decennio. In questi anni, viene edificato il Palazzo S.Giacomo nell'attuale piazza Municipio, quale sede dei nuovi ministeri del Regno; nel 1816, si avvia la risistemazione del largo di Palazzo (l'attuale Piazza Plebiscito), ribattezzata Foro Ferdinandeo, con l'edificazione dell'imponente proscenio neoclassico della chiesa di San Francesco di Paola e l'aggiunta delle due statue equestri dei sovrani Carlo e Ferdinando di Borbone; nello stesso anno, Ferdinando fa realizzare per la moglie morganatica, duchessa di Floridia, la bella Villa Floridiana al Vomero; nel 1819, viene istituito l'Osservatorio Astronomico, il primo in Europa. Il 1820 fu l'anno dei moti liberali in Europa, e a Napoli questi si riflessero nella rivolta capeggiata da Guglielmo Pepe. Spaventato da questa nuova crisi, Ferdinando assunse un atteggiamento ambiguo e proditorio, concedendo dapprima la Costituzione, e chiedendo poi l'intervento militare austriaco, per poterla abrogare. Nel 1825, morto Ferdinando, gli successe Francesco I, che regnò
per pochi anni, senza lasciare segni notevoli. Nel 1830 salì al trono Ferdinando II, che
invece conquistò da subito la benevolenza del suo popolo, e inizialmente anche la stima
dei liberali italiani. Insieme a un grosso sforzo di riorganizzazione dell'esercito, il nuovo re
dette impulso al progresso in diversi settori, permettendo a Napoli di divenire un centro
d'eccellenza, e di raggiungere tanti primati: nel 1837 fu la prima città d'Italia ad
avere l'illuminazione a gas; nel 1839 fu inaugurata la Napoli-Portici, prima ferrovia
italiana; nel 1841 nacque l'Osservatorio Vesuviano, primo centro vulcanologico del mondo.
Furono inaugurate linee telegrafiche, nuove strade, ponti, strutture sanitarie, scuole e
istituti professionali, e la popolazione raggiunse il mezzo milione di abitanti,
indiscutibilmente la città più grande d'Italia. La cultura dell'epoca vide la nascita
della grande tradizione della canzone napoletana, le prime espressioni del teatro
dialettale (con Eduardo Scarpetta) e la fioritura, nelle arti figurative, della Scuola di
Posillipo, che annoverò tra i suoi esponenti Domenico Morelli, F.P. Michetti, i fratelli
Palizzi, Gioacchino Toma. |
Napoli dopo l'Unità d'Italia |
Alla morte di Ferdinando, gli succede il giovane Francesco II, che sarà
l'ultimo Re delle Due Sicilie. E' il 1860, e lo sbarco a Marsala dei Mille guidati
da Garibaldi è agevolato dall'ammutinamento della marina borbonica, e dalla benevolenza
di alcuni generali di stanza in Sicilia; mentre risalgono lo stivale, i garibaldini
acquisiscono il consenso dei liberali, della diplomazia inglese e piemontese, della
borghesia e perfino della camorra. Francesco II, per non tingere di sangue la capitale,
porta il suo esercito a nord, al di là del fiume Volturno, e attende i garibaldini, che
affronterà nella battaglia di Caiazzo. Stretti tra l'esercito di Garibaldi a sud e quello
piemontese, che nel frattempo penetra da nord sotto il comando di Vittorio Emanuele II, i
reggimenti napoletani si arroccano nella fortezza di Gaeta, dove resistono a lungo, ma
senza possibilità di ribaltare gli esiti della guerra. Così, con lo storico incontro di
Teano, Vittorio Emanuele si vede consegnare tutto il Mezzogiorno d'Italia e il 7 settembre
Garibaldi entra a Napoli e, dal balcone di Palazzo
Doria d'Angri, annuncia al popolo l'annessione al nascente Stato italiano, sotto la
corona sabauda; il plebiscito del 21 ottobre confermerà quest'atto. I successivi sono anni di cambiamento e assestamento, soprattutto per la popolazione, alle prese con una nuova realtà politica e con un governo lontano e indifferente; nelle campagne si diffonde il fenomeno conosciuto come "brigantaggio", e la repressione è dura, con l'invio di un esercito di 120.000 uomini. |
Napoli contemporanea |